Il Tango: un viaggio emozionante nella passione e nell’arte

La sala è velatamente illuminata da riflessi dorati. Il suono di un bandoneón riempie soffusamente l’aria e l’anima, insieme alle pulsazioni del cuore. Un gruppo di ballerini si è radunato in cerchio. Uno sguardo intenso, scuro; è un invito a ballare. È il mio primo incontro con il tango, un mondo vibrante e appassionato che mi chiama con forza ma anche con delicatezza.

I miei primi passi sono incerti, quasi titubanti, mentre si avvicina alla partner. Il battito del cuore accelera, in un misto di timore e adrenalina che fa brillare gli occhi e tremare i piedi cinti da luminose e comode scarpe con il tacco. La musica si fa più intensa, come se volesse guidarmi, rimbomba nella testa, mi prende. Respiro profondamente, cercando di lasciarmi andare.

Quando il mio corpo sfiora il suo, si crea un contatto unico, un’armonia che trascende le parole. Le mie mani, inizialmente rigide, iniziano a sciogliersi mentre mi lascio guidare dal partner con i suoi gesti decisi. Ogni passo è una scoperta, una sfida, ma anche un potente gioco di equilibrio.
Il pavimento sotto i miei piedi sembra rumoreggiare, trasmettendo la storia di generazioni di ballerini. Ed ecco che, piano, con un po’ di insicurezza ma con un ardore crescente, inizio a muovermi con maggiore fluidità. La musica mi avvolge lentamente, come un abbraccio caldo, mi lascio guidare, mi affido al corpo del partner, e sento l’emozione pulsare nelle vene.

I miei primi passi di tango diventano una danza di emozioni, un viaggio che mi trascina in un altro tempo e spazio. È la felicità di una debuttante che, sorpresa dalla magia del momento, scopre che il tango non è solo un ballo, ma un’espressione profonda di sé e un profondo contatto con gli altri. È un affidarsi a un uomo, a volte sconosciuto, ma con il quale si crea un contatto che va oltre i movimenti e passaggi imparati a scuola. Nella vita, ci si avvicina e si abbraccia un uomo per amore; nel ballo è uno slancio verso un corpo che non si conosce, che non si ama, ma che prende, che si asseconda, che ti avvolge i sensi, in un vortice di passione, ma anche di distacco. Ogni passo è un piccolo trionfo, un segnale che mi invita a continuare, a esplorare, e a lasciarmi andare in questa meravigliosa avventura.

Ogni movimento racconta una storia, la mia e del ballerino con il quale entro in sintonia; così come quella di altri ballerini in sala che non quasi non vedi più, nella concentrazione e nel vortice di emozioni. La musica risuona allora oltre la sala, nel profondo dell’anima. Il primo incontro con il tango è spesso segnato da una miscela di timore e curiosità; ci si sente come un esploratore in un regno sconosciuto, pronto a scoprire non solo una danza, ma un modo di esprimere sentimenti.

Il primo abbraccio con il proprio partner, quel contatto fisico che sembra dissolvere le barriere, è un momento di pura magia. Il tango è una conversazione silenziosa, un dialogo che si esprime attraverso il corpo. La connessione immediata che si stabilisce è palpabile: è un invito a lasciarsi andare, a fidarsi dell’altro. Questa intimità, spesso estranea nella vita quotidiana, trasforma il danzare in un’esperienza di vulnerabilità e apertura.

Ciò che colpisce di più i principianti è l’impatto emotivo di ogni nota musicale. La melodia del tango, spesso interpretata con violino o bandoneón, ha il potere di evocare nostalgia e passione. Ogni brano narra un frammento di vita, capace di trasportare il danzatore in un’altra epoca, facendogli rivivere le gioie e i dolori delle generazioni passate.

Come scriveva il celebre poeta e scrittore argentino Jorge Luis Borges, “Il tango è l’arte dell’incontro, il momento in cui due anime si incrociano”.

Il tango, danza emblematicamente argentina, si è evoluto nelle strade di Buenos Aires alla fine del XIX secolo, un crocevia culturale che ha mescolato tradizioni africane, europee e locali. Dal suo esordio nei quartieri popolari, il tango ha attraversato il tempo per diventare un simbolo di passione, eleganza e condivisione emotiva, capace di incantare chiunque si avvicini a questa forma d’arte.

Per comprendere appieno il fascino del tango, è importante conoscere le sue radici storiche. Negli anni ’20, il tango conquistò il cuore di Parigi, diventando simbolo di eleganza e raffinatezza. Le milonghe, i luoghi di incontro per danzatori, erano animate da una vivace atmosfera di socialità e creatività. Non solo un modo per ballare, ma un’occasione per intrecciare amicizie, condividere esperienze e, perché no, vivere amori fugaci.

Nel corso del XX secolo, il tango subì numerosi cambiamenti, diffondendosi in tutto il mondo e adattandosi a diverse culture, mantenendo sempre l’essenza di una danza intrisa di emozione. Oggi, il tango è celebrato non solo in Argentina, ma in ogni angolo del pianeta, dove appassionati di ogni età si ritrovano per abbracciare questa forma d’arte.

Quindi, perché non lasciarsi tentare dal fascino del tango? Perché non unirsi a questa danza che trascende il tempo, in cui ogni passo è un invito a esplorare la propria anima e quella degli altri? La strada per diventare un ballerino di tango è lastricata di sfide, ma è anche un cammino ricco di emozioni, scoperte e attimi indimenticabili.

Il tango infatti è un viaggio non solo fisico, ma soprattutto emotivo e spirituale. È una celebrazione della vita, della passione e della libertà di esprimere se stessi attraverso il movimento. Chiunque abbia il coraggio di avvicinarsi a questa danza troverà una porta che si apre su un mondo di colori, suoni e sentimenti, dove ogni ballo è una nuova avventura da vivere. Non resta che alzarsi in piedi, abbracciare il partner e dare inizio a questa meravigliosa danza.
Tante sono le scuole di tango in Italia.

A Viterbo la Golden Dance di Massimo Polo da anni avvia uomini e donne a conoscere e ad amare questo ballo. A Roma, da ASD Tanguedia di Dario Pizzini ed Emanuela Pansera, che con competenza, sapienza e professionalità, guidano gli iscritti e i principianti, a altre innumerevoli realtà, i soci si uniscono in associazioni di amicizia e di ballo e fioriscono locali e occasioni per passare pomeriggi e serate fra pratiche e milonghe, momenti di convivialità, attività e svago. In nome del tango.

Pubblicato in Uncategorized | Contrassegnato | Lascia un commento

Michelangelo Buonarroti, Il Tondo Doni, tempera grassa su tavola 1505-1506

Michelangelo Buonarroti,
Il Tondo Doni, tempera grassa su tavola 1505-1506.
E’ conservato alla Galleria degli Uffizi Firenze.


Lo possiamo ammirare nella sua cornice originale ,
probabilmente disegnata dallo stesso Michelangelo.
E’ l’unica opera su supporto mobile certa e compiuta dall’artista.

Questa di Michelangelo è Una Sacra Famiglia rappresentata come mai si era vista prima, che stravolge tutta l’iconografia precedente. I tre personaggi centrali sono dipinti come un gruppo scultoreo: Maria posa il libro che sta leggendo e con una torsione del corpo alza le braccia per prendere il Bambino che Giuseppe le sta porgendo. Su una prospettiva diversa, sullo sfondo, figure nude raffigurano quattro sculture dell’Antichità: Apollo seduto, Apollo del Belvedere, il Laocoonte,
Amore con l’arco.
Sulla destra un paesaggio montano: La Verna, il monte su cui San Francesco trascorreva periodi di silenzio e preghiera e dove ricevette le stimmate.
Mondo pagano e mondo cristiano.

Il ricco banchiere Agnolo Doni legò indissolubilmente il suo nome a quello di Michelangelo per questo tondo che è la sua più alta prova pittorica prima della Sistina. Agnolo era la taccagneria incarnata, il Vasari lo immortalò nelle sue Vite con la famosa frase:
-Spendeva volentieri, ma con più risparmio che poteva.-
Michelangelo, che aveva il suo bel caratterino e che pareva avesse giurato di lasciare a tutti un pessimo ricordo di sé, si prese il gusto di chiedere al banchiere il doppio della somma che avevano stabilito per il tondo.
Agnolo, nel quale la spilorceria andava stranamente unita ad uno sviscerato amore per le cose belle, dovette rassegnarsi a pagare, con grande strazio e gemiti, tutta la somma richiesta da Michelangelo.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

ACCADDE OGGI 2 NOVEMBRE 1940: NASCE A ROMA GIGI PROIETTI; 2 NOVEMBRE 2020: MUORE A ROMA GIGI PROIETTI

Una vita meravigliosa racchiusa entro la medesima data del 2 novembre e nella medesima città; in mezzo 80 anni di comicità, cabaret, teatro, film, fiction, canzoni, libri etc. all’insegna del garbo, dell’ironia, della romanità-italianità e dell’intelligenza.
Figlio di Romano Proietti, originario di Amelia (TR) e della casalinga Giovanna Ceci, Gigi nasce a Roma in via sant’Eligio, a pochi metri da dove era nato Ettore Petrolini (1884-1936), il “Gigi Proietti” del primo ‘900. Quando gli chiedevano se il suo stile venisse proprio da Petrolini rispondeva con una citazione del grande fantasista, come Gigi poco incline alle etichette: “Quando a Petrolini gli si chiedeva se discendesse dalla Commedia dell’Arte lui rispondeva “Io discendo solo dalle scale di casa mia”.
Fra i tanti trasferimenti romani soggiorna anche nella popolare borgata “der Tufello” dove avviene la sua prima formazione artistica-culturale. Gigi è un bravo studente: prende il diploma liceale e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza ma mentre studia si appassiona alla musica ed impara a suonare chitarra, pianoforte, fisarmonica e contrabasso e comincia ad esibirsi nelle feste e nei locali. Un’attività che diventa sempre più importante e impegnativa; è così che, a pochi esami dalla laurea, abbandona gli studi.
Si iscrive al “Centro Teatro Ateneo”, una struttura dell’università “La sapienza” dove hanno insegnato, fra gli altri, Arnoldo Foà, Giulietta Masina e Giovanni Sbragia. La sua giornata tipo era formata da lezioni teoriche la mattina, prove in palcoscenico il pomeriggio e esibizioni nei locali la notte; quello che guadagnava di notte gli serviva per pagarsi le lezioni del giorno. Negli anni ’60 frequenta anche un corso di mimica; il direttore del corso, l’attore, mimo e regista Giancarlo Cobelli (1929-2012) nota le sue grandi doti attoriali e, nel 1963, lo scrittura per un suo spettacolo, il “Can Can degli italiani”. Dal 1964 comincia a recitare parti secondarie nel “Gruppo Sperimentale 101”, uno dei tanti centri teatrali sperimentali fioriti a Roma negli anni ’60 dove figurava, oltre Cobelli, anche Andrea Camilleri. Il suo primo ruolo sarà “l’upupa” ne “Gli uccelli” di Aristofane. Dal 1968 comincia a recitare nei ruoli di protagonista nel Teatro Stabile de L’Aquila.
Dal 1964 inizia a recitare anche per il cinema in film di Ettore Scola e Tinto Brass; per Brass interpreta il suo primo ruolo da protagonista ne “L’urlo”, presentato a Cannes. In quegli anni comincia ad apparire anche in televisione. Le sue apparizioni in teatro, al cinema e in TV si fanno sempre più frequenti e sempre più caratterizzate da ruoli importanti.
Nel 1976 stringe un importante rapporto di collaborazione con lo scrittore, commediografo e sceneggiatore Roberto Lerici (1931-1992) e comincia a scrivere e dirigere propri spettacoli dove mette in luce le sue formidabili doti di improvvisatore, monologhista, cantante, imitatore e ballerino; tra questi il celeberrimo “A me gli occhi please” che replicherà più volte nel ’93, ’96 e nel 2000, allo stadio Olimpico di Roma.
Nel 1978 è incaricato della direzione artistica del Teatro Brancaccio di Roma dove istituisce la sua celebre scuola per giovani attori “Laboratorio di Esercitazioni Sceniche” dove si formeranno generazioni di talenti come Giorgio Tirabassi, Massimo Wertmuller, Rodolfo Laganà, Francesca Reggiani, Flavio Insinna, Enrico Brignano e molti altri.
Da allora è un flusso continuo di apparizioni e produzioni in tutti i settori dello spettacolo sino alla grande consacrazione di massa del 1996 grazie alla serie TV “Il maresciallo Rocca”, ambientato nella stazione dei carabinieri di Viterbo con al fianco una superba Stefania Sandrelli. L’enorme successo della serie, con ascolti da Festival di S. Remo, obbligherà gli autori a ben cinque nuove edizioni.
Da quel momento Gigi Proietti cessa di essere performer teatrale, cinematografico e televisivo per assumere quello di Principe dello spettacolo.
Quanto grande è la sua immagine pubblica tanto riservata è la sua vita privata: dal 1962 è legato all’ex guida turistica, la svedese Sagitta Alter con cui conviverà per tutta la vita; dalla loro unione nascono le figlie Susanna e Carlotta.
Gigi ci lascia il 2 novembre di quattro anni fa, nel giorno del suo 80° compleanno, nella clinica romana Villa Margherita, dove era ricoverato, per un arresto cardiaco seguito all’aggravarsi di una cardiopatia.

Pubblicato in Cultura | Contrassegnato | Lascia un commento

Un faro di Cultura e un evento straordinario: “Latium Art & Book Fair@Viterbo” Openhub Lazio

Viterbo – Si è svolto nella Città dei Papi il 27 settembre scorso, dalle ore 17,00, un evento eccezionale dal titolo “Letture condivise”, che ha riunito poeti della Tuscia e d’Italia di fama nazionale e nuovi scrittori, con il patrocinio della Regione Lazio, grazie a Officine Culturali Romane. Questa manifestazione culturale ha attratto appassionati di poesia, studiosi e curiosi, in un’atmosfera magica in cui le parole si sono intrecciate con l’intensità delle emozioni umane.

Nella sala, stracolma di gente, il contesto e l’atmosfera evocativa hanno amplificato e sublimato la potenza delle performance poetiche, fuse in un’esperienza letteraria completa, in cui le parole si sono intrecciate alle emozioni. La coordinatrice, il critico letterario dott.ssa Cinzia Baldazzi, in collaborazione con la poetessa pluripremiata Nadia Pascucci – che ha anche magistralmente condotto la manifestazione insieme all’organizzatrice – ha organizzato un evento in cui i poeti, invitati dalla giornalista e poetessa Anna Maria Stefanini (assente per motivi di salute) e da Nadia Pascucci, a uno a uno, si sono potuti esibire, in un crescendo di emozioni, fra gli applausi dei presenti.

L’evento ha visto la partecipazione di molti poeti, provenienti da diverse parti della Tuscia, ma anche da Ladispoli e dal Salento.
Ogni illustre poeta ha avuto l’opportunità di declamare una delle proprie opere più significative, spesso interagendo con il pubblico attraverso letture emozionanti.

Cinzia Baldazzi, critico letterario, coordinatore dell’evento

Hanno partecipato all’evento Roberta Mezzabarba, scrittrice e autrice anche del libro “Iulia Farnesia.Lettere da un’anima”; Paolo Fanelli, alias Luis Contenebra, scrittore e autore di “Metello. L’eroico bambino etrusco”; Cinzia Maria Adriana Proietti, scrittrice e presidente dell’associazione culturale FORMA aps, Nadia Pascucci, presidente dell’associazione culturale Tullius Cicero; Rosella Lisoni, scrittrice e presidente dell’associazione culturale La Torre della Tuscia; Anna Maria Fausto dell’Unitus; Sandro Maria Iacoponi, presidente dell’associazione culturale Vetus Urbs Cesare Iacoponi; Caterina Pisu, direttrice del Museo di Farnese; Franco Giuliani, presidente dell’associazione culturale Tuscia Dialettale; Raffaele Donno, vicepresidente dell’associazione culturale Archeotuscia.

In un’epoca in cui la comunicazione è sempre più digitale e spesso superficiale, i poeti hanno esplorato diverse sfaccettature dell’animo umano, in lingua italiana e in vernacolo, valorizzando l’importanza della poesia come strumento di resistenza, di celebrazione e di riflessione.
Le letture poetiche sono state a cura di : Marco Ambrosi, Giuseppe Bellucci, Silvana Cenciarelli, Enrico Concioli, Giovanni Battista Corsetti, Giuseppina Dibitonto, Maurizio Donsanti, Susanna Hirsch, Maria Morena Lepri, Gianni Natale, Pietro Pannucci, Gilberto Pettirossi Fabio Prili, Gina Scanzani, Stefano Giuseppe Scarcella, Enrico Schiralli, Rosanna Tarantello, Daniela Tasselli, Mario Pino Toscano.

Non si è trattato soltanto di letture poetiche. L’evento ha incluso anche il racconto di esperienze poetiche, come quella realizzata recentemente dai Poeti Capodimontani, esposto dalla direttrice museale Caterina Pisu, e workshop, una sorta di tavola rotonda dell’anima, dove i poeti hanno potuto interagire, approfondendo tematiche legate alla scrittura e alla recitazione poetica. Questi momenti di confronto hanno permesso a molti giovani poetesse e poeti emergenti di ricevere feedback sui propri testi e di confrontarsi con esperti del settore, creando un ambiente di apprendimento e crescita.
Una comunità poetica della Tuscia viva e unita da versi, parole ed emozioni. Dalle 10 alle 18,30 inoltre si sono potute apprezzare la libreria itinerante e la mostra d’arte, album fotografico di Adriano Camerini.

A conclusione dell’evento, si è instaurato un dialogo informale tra poeti e spettatori, una rete di connessioni preziose e durature nel mondo della poesia.

La poesia del resto è un’arte che trascende il tempo e lo spazio, capace di catturare l’essenza dell’esperienza umana attraverso parole scelte con cura; essa rappresenta non solo un mezzo di espressione, ma anche un veicolo di comprensione profonda della condizione umana.

Ogni cultura ha prodotto forme poetiche che riflettono esperienze e visioni del mondo. Dalla lirica greca alle ballate medievali, dalla poesia romantica alle avanguardie del Novecento, la poesia ha sempre avuto un ruolo cruciale nel documentare i cambiamenti sociali, politici e culturali. Attraverso la poesia, le società si sono raccontate, hanno espresso i propri sogni, le proprie paure e le speranze per il futuro.
La poesia è anche un mezzo di resistenza e interculturale: le parole hanno il potere di unire le persone attorno a un ideale comune e di dar voce a coloro che spesso non ne hanno. In questo senso, la poesia diventa un atto di denuncia, un richiamo alla giustizia e all’umanità.
La bellezza della poesia risiede proprio nella sua varietà di forme e strutture.

La manifestazione del 27 settembre ha dimostrato come, nell’era digitale, la poesia continui a evolversi.
La manifestazione si è affermata non solo come un grande successo ma anche come un faro di cultura e creatività in un’epoca in cui la poesia ha bisogno di spazi e opportunità per brillare. L’evento ha dimostrato che, attraverso la condivisione delle parole, è possibile costruire comunità e creare un impatto duraturo, esprimendo le sfide e le speranze dell’umanità. Ci si aspetta già la prossima edizione, promettendo di continuare a alimentare la passione per la poesia e a dare voce a chi scrive e ama le parole e la cultura. Cinzia Baldazzi, nel suo post su Facebook, ha menzionato Andrea Lepone e Donato Bonanni. La scelta della galleria fotografica è stata curata da Adriano Camerini.










Pubblicato in Cultura, Letteratura | Contrassegnato , | Lascia un commento

Rotary concept: la cerimonia del passaggio del collare dal presidente Deneb Antuoni ad Andrea Morini e la festa della Charta

Nel lessico rotariano si chiama “passaggio del collare” e martedì 2 luglio 2024, negli accoglienti locali del Casale Tor di Quinto a Roma, Andrea Morini è succeduto al presidente Deneb Antuoni alla guida di quel laboratorio solidale e progettuale che risponde al nome di Rotary Club Roma Aniene per l’anno 2024-2025.
La cerimonia di passaggio tra un presidente del Rotary e il successore è un evento significativo che segna il termine di un mandato
e l’inizio di un nuovo, ma con un approccio di leadership sempre all’insegna della continuità.
La decorrenza della presidenza è coincisa con un momento altamente simbolico nel rituale rotariano: la festa della “charta”, ossia la carta costitutiva che sancisce la nascita di ogni club della costellazione rotariana. Una ricorrenza che consegna ai soci un percorso di crescita e un esaltante momento identitario comune.

Questo rito consolidato nell’organizzazione Rotary è intriso di tradizione e simbolismo e riflette l’importanza della continuità, della responsabilità e dell’impegno nel servizio comunitario. Il passaggio di presidenza è simboleggiato, attraverso la consegna della campana, simbolo del ruolo presidenziale, e del collare, che rappresenta autorità e responsabilità.

Il nuovo presidente Andrea Morini, il past president Deneb Antuoni e il prefetto Sara Iannone

La continuità si è percepita indubbiamente nei dettagli e, come tutti sanno, non c’è niente di più precipuo dei dettagli stessi. In un’organizzazione in cui lo stile vale non meno dei contenuti e dei progetti, la strategia dell’accoglienza equivale a un valore aggiunto universalmente apprezzato.

Il prefetto Sara Iannone

La cerimonia è iniziata con un’accoglienza calorosa ai partecipanti da parte del presidente Deneb Antuoni, del presidente incoming Andrea Morini e del prefetto Sara Iannone.

Dall’aperitivo in terrazza al tramonto, alla cura estrema dei simboli rotariani e della sala, la cerimonia del passaggio ha continuato a esprimere i propri bioritmi nella cena placée attraverso gli ottimi piatti e i vini preparati dagli chef del Casale di Tor di Quinto, con l’accompagnamento musicale del bravissimo ed eclettico Jerry Vasi.

Jerry Vasi e il past president Deneb Antuoni

Nel suo significativo discorso, il presidente uscente ha emozionato tutti i presenti, dando la possibilità di riflettere sulle sfide e i successi dell’anno trascorso e di ripercorrerne le tappe più significative: dalla partecipazione ai congressi distrettuali, alla collaborazione con la past governator distrettuale Maria Carla Ciccioriccio, della quale ha portato i saluti, ai progetti attuati, alla creazione del Rotaract fino all’assegnazione del prestigioso riconoscimento a Deneb Antuoni, dal Distretto, per suoi meriti e il proficuo impegno profuso a servizio del Club: il Paul Harris.

Il Presidente uscente successivamente ha ringraziato personalmente il Consiglio Direttivo e tutti i soci, ricordando l’impegno nei progetti intrapresi durante la sua annata di presidenza.
Deneb Antuoni ha ricordato anche la sua entrata, avvenuta circa 6 anni fa, nella grande famiglia rotariana e la nascita del glorioso club, che si sta sempre più ampliando e arricchendo di soci e iniziative.

Durante la cerimonia è stata premiata con il Paul Harris la tesoriera del Club, Rosa Altavilla, già ex presidente, per l’ impegno profuso durante questi anni. Rosa ha certamente contribuito a consolidare il senso di comunità, di collaborazione e a lei va la gratitudine di tutti i soci del Club.

Rosa Altavilla fra Deneb Antuoni e Sara Iannone

Il discorso di incoraggiamento e di visione del nuovo presidente Andrea Morini ha ispirato i presenti a continuare nel lavoro di servizio e progettualità che contraddistingue il Rotary.

Andrea Morini

Andrea Morini, dopo aver salutato i presenti e i soci fondatori e aver ricordato di essere parte del nucleo ristretto che proprio a Casale di Tor di Quinto, sei anni fa, costituì il R.C. Roma Aniene, si è presentato a chi, fra i presenti, non lo conosceva ancora bene: “Sono oramai da oltre 20 anni parte di questa famiglia”. Ha poi presentato la compagna Claudia e i figli Lorenzo Giovanni e Beatrice Sofia. “Essi sono il mio quadrato magico, la mia fortress behind – ha detto il nuovo Presidente. Poi ha spiegato:”Nella vita faccio da oltre 30 anni l’avvocato, da oltre 10 sono fiduciario per lo sviluppo e la strategia di imprese, istituzioni e famiglie. Ma è alla mia esperienza associativa che voglio riferirmi per il seguito.
Ho all’attivo 17 anni di appartenenza nell’associazione francese Operà di Parigi, per la quale sono stato prima dirigente locale per circa sette anni e poi dirigente nazionale per tre anni. Sono stato il dirigente locale con il maggior numero di tenute condotte – oltre 100 – nonché organizzatore di eventi internazionali e locali. Allo stesso tempo sono membro da 15 anni dell’OSMTH organizzazione templare americana ed anche per svolgo da circa sette anni attività a livello locale di natura culturale, organizzando eventi e convegni.”


Andrea Morini ha poi illustrato i suoi obiettivi:” Rinforzare il believing del club cioè la credenza, l’identità rotariana nella sua essenza, rinforzando il club nell’ esperienza di Rotary internazionale.
In secondo luogo rinforzando il club nell’esperienza di networking nazionale e locale. E quindi nei rapporti – cioè conviviali e soprattutto condivisione di progetti – con altri Rotary nazionali e locali;
in terzo luogo avviando una nuova progettazione di lungo tesa a fare impatto, aumentare la portata, farsi conoscere- Ovvero tre degli obiettivi indicati dal Piano d’azione del nuovo Governatore Arcese.”

Il Presidente è poi entrato nei dettagli della progettazione: creare la prima televisione Rotary di Roma, in verità anche la prima televisione Rotary in Italia. Ha poi invitato tutti a partecipare all’approfondimento del Piano d’azione che si farà il prossimo 10 Luglio in quella che sarà la prima conviviale del nuovo a.r..

Andrea Morini assume dunque la guida del Club con un programma ambizioso, incentrato su innovazione, continuità e service, in un ambiente che valorizzi le potenzialità di ogni socio.

Tra i presenti: la futura presidente del Rotary Club Roma Aniene 2025-2026 Elisabetta Gabrielli.

Elisabetta Gabrielli

Non è mancata la presenza della quasi totalità dei soci e di numerosi ospiti esterni, amici del Club.

Carmen Costanzo

La socia, poetessa e scrittrice Carmen Costanzo ha declamato, fra gli applausi, una sua significativa poesia.
Fotografia di Mario Giannini.

Pubblicato in Cronaca, Cultura | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento

Inaugurata oggi a Viterbo la mostra su Luciano Ventrone con la presenza di Vittorio Sgarbi

Inaugurata oggi, 25 giugno, a Viterbo, una mostra imperdibile su Luciano Ventrone, alla presenza di Vittorio Sgarbi.

Luciano Ventrone è un artista di straordinario talento che ha saputo distinguersi all’interno del panorama artistico contemporaneo con la sua tecnica e il suo stile unici. Le sue opere sono caratterizzate da una maestria nel trattare luci e ombre che lascia senza fiato lo spettatore. Attraverso l’uso sapiente dei colori e delle forme, Ventrone è in grado di catturare l’essenza e l’emozione di ciò che rappresenta, trasmettendo un senso di profondità e mistero che coinvolge chiunque si soffermi ad ammirare le sue creazioni.

Ogni pennellata, ogni sfumatura, ogni dettaglio delle opere di Luciano Ventrone è intriso di un’intensità e di una passione che colpisce dritto al cuore. Le sue opere non sono semplici dipinti, ma vere e proprie manifestazioni dell’anima dell’artista, che si riflettono in ogni singola creazione con una potenza e una bellezza straordinarie.

In un mondo dominato dalla frenesia e dalla superficialità, l’arte di Luciano Ventrone rappresenta un faro di autenticità e di profondità. Le sue opere ci invitano a riflettere, a emozionarci, a lasciarci trasportare in mondi di bellezza e di magia che solo un vero artista è in grado di creare. Che sia con i suoi ritratti iperrealistici o con le sue nature morte straordinariamente dettagliate, Ventrone riesce sempre a catturare l’attenzione e l’ammirazione di chiunque si avvicini al suo lavoro.

La giornalista Anna Maria Stefanini e Vittorio Sgarbi

Luciano Ventrone è un artista “dell’anima” straordinario che ha il potere di toccare le corde più profonde attraverso la sua arte, riflesso dell’opera divina. Con la sua capacità di trasformare la realtà in pura poesia visiva, Ventrone si conferma come una delle figure più significative e talentuose del panorama artistico contemporaneo, destinato a lasciare un’impronta duratura nell’arte del nostro tempo.

La mostra inaugurata stamattina a Viterbo, a valle Faul, presso lo spazio della Fondazione Carivit, in un luogo facile da raggiungere anche da chi viene da fuori città, con un ampio parcheggio davanti, è un viaggio nella bellezza.

Questo giovane artista, in modo autonomo e originale, ha pensato di passare dall’astrazione alla realtà, al contrario di altri. L’arte contemporanea si basa non sulla fortuna, ma sull’essenza profonda.
“Ventrone non è morto. Nessuno è stato capace di andare oltre la finzione come lui. Il compito dell’arte è dare anima. Egli continua a vivere e l’arte contemporanea con lui rinasce”.

Vittorio Sgarbi ha analizzato i dettagli dell’opera dell’artista in modo sublime, fra i lunghi applausi del folto pubblico presente all’inaugurazione, mentre la sindaca Chiara Frontini, il presidente della Fondazione Carivit Luigi Pasqualetti, Sandra Sileoni di Intesa San Paolo e la moglie dell’artista ci hanno fatto comprendere quanto arte, cultura ed educazione alla bellezza siano elementi fondamentali e primari per un rilancio della Città dei Papi anche dal punto di vista turistico, oltre che di qualificazione ambientale e sociale.

Pubblicato in Arte, Cronaca, Cultura | Lascia un commento

IL CONGRESSO E L’ASSEMBLEA DEL DISTRETTO ROTARY 2080: RIPARTIRE DAI VALORI FONDANTI

Singolare coincidenza di temi tra il recente G7 di Brindisi e il congresso del distretto 2080 del Rotary Italia, la struttura che riunisce i club di Roma, Lazio e Sardegna, tenutosi nei giorni 14, 15 e 16 giugno al Parco della Musica di Roma.

Pace, dialogo interreligioso e impatto dell’intelligenza artificiale, questo il reticolo tematico che ha stabilito le coordinate del dibattito rotariano, all’atto del “passaggio del collare” fra la governatrice distrettuale uscente, Maria Carla Ciccioriccio e il governatore entrante, Fabio Arcese, alla presenza di Gianni Policastri, rappresentante del Presidente Internazionale e Alberto Cecchini, Board Director del Rotary Italia, cui è toccato il compito di proferire le allocuzioni introduttive.
Alla governatrice uscente, M. C. Ciccioriccio e al neo-eletto F. Arcese, sono andati i calorosi ringraziamenti e gli auguri di buon lavoro da parte dell’assemblea rotariana.
Tra gli ospiti Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita e ascoltato consigliere spirituale della Comunità di sant’Egidio e l’Imam del Centro Islamico di Roma; non ha potuto partecipare Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane.
Moderatore dell’incontro Stefano Girotti Zirotti, giornalista di Rai Vaticano.
Molto apprezzato un passaggio di Mons. Paglia: “Di fronte ai rischi sottesi allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale bisogna ribadire il primato dell’umano per una visione umanistica del futuro. Al rischio di quella che il Papa ha chiamato “algocrazia”, dobbiamo contrapporre l’algoretica”, dove “algo” sta per algoritmi, ossia gli schemi procedurali alla base delle tecnologie digitali.
La “pace costruita dal basso”, quella che ciascuno può quotidianamente praticare nelle relazioni personali e professionali e nelle compagini associative, può diventare un contributo importante a quanto John Lennon intendeva per “give peace a change”: dai una chance alla pace.

Il 14, 15 e 16 giugno si è avuta una plastica rappresentazione del contributo positivo che la grande rete mondiale Rotary può mettere in campo a favore di questa “chance”.
Un ruolo ricco di significati è stato riconosciuto al Rotary Club Roma Aniene – rappresentato al Congresso dal presidente Deneb Antuoni e dalla past president Sara Iannone – per le sue iniziative sociali tra le quali brillano il Rotaract (neologismo derivato dall’unione di Rotary e Action) e Interact, ossia forme di partenariato con istituzioni formative territoriali, riservate a giovani di età compresa tra i 18 e i 32 anni, che ha visto coinvolti il club romano e il liceo “Sandro Pertini” di Ladispoli, rappresentato dalla dirigente Fabia Baldi, nel progetto “Una scuola contro il bullismo e il cyberbullismo”, condotto sotto la supervisione della nota psicologa e scrittrice Maria Rita Parsi e successivamente replicato presso l’Istituto Comprensivo “S. Canevari” di Viterbo.
L’ufficializzazione sarà sancita mercoledì 19, alle ore 20, all’Hotel Hive di via Torino, con la consegna della “Charta costitutiva” del Rotaract club Roma Aniene, alla presenza della governatrice Maria Carla Ciccioriccio.
Un’iniziativa che, unita alla grande capacità organizzativa e propositiva, è valsa al presidente Antuoni l’importante PHF (Paul Harris Fellow), la massima onorificenza della galassia Rotary.

Il 16 giugno, nell’ambito dei lavori dedicati all’elaborazione programmatica del nuovo governatorato e all’approfondimento delle tematiche relative alla formazione e allo sviluppo, nella LXVII Assemblea Distrettuale, il Rotary Club Roma Aniene è stato rappresentato dal presidente in coming Andrea Morini.

Pubblicato in Cronaca, Cultura | Contrassegnato , , | Lascia un commento

ACCADDE OGGI – 1 ° MAGGIO 1947: VIENE PERPETRATA LA STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA. A VITERBO IL PROCESSO

Si direbbe che la strategia stragista abbia costituito una fenomenologia endemica e continuamente affiorante nella storia della Repubblica Italiana, almeno fino ai primi anni Novanta e ancora oggi si protraggono indagini, processi e ricostruzioni lungo quel filo di sangue che attraversa Piazza Fontana, Piazza della Loggia, il treno Italicus, la stazione di Bologna, Capaci, via D’Amelio, via dei Georgofili etc.
La strage siciliana del 1° maggio 1947 di Portella della Ginestra può essere considerata come la prova generale di questa via italiana alla gestione dei conflitti politici, sociali, economici e malavitosi.

Una strage che ha un prologo importante: undici giorni prima si erano svolte le elezioni per l’istituzione dell’ARS, l’Assemblea Regionale Siciliana, organo politico centrale della regione a statuto speciale Sicilia. Al cosiddetto “blocco liberal-qualunquista” e alla Democrazia Cristiana andarono le cariche maggiori ma la coalizione PCI, PSI e PdA (Partito d’Azione) ottenne il maggior numero di voti e questo determinò uno stato d’allarme in un’ampia rete di interessi politici, economici, mafiosi, indipendentisti e in non meglio precisate “frange statunitensi”.
Quel 1° maggio diverse migliaia di contadini e lavoratori si riunirono nella località Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, per festeggiare la giornata dei lavoratori e la performance elettorale dei partiti della sinistra e per chiedere la Riforma Agraria e migliori condizioni di lavoro per i braccianti agricoli.
Ma a quell’incontro qualcuno aveva convocato un personaggio che con la festa dei lavoratori non c’entrava nulla: il bandito Salvatore Giuliano e la sua banda e si racconta che Giuliano avesse ricevuto l’incarico di compiere la strage tramite una “lettera”; lettera che sarebbe stata bruciata subito dopo la lettura.

Alle 10 del mattino del 1° maggio 1947 gli uomini di Giuliano aprirono il fuoco a colpi di mitra sulla folla ignara; i morti furono 11, di cui tre bambini ma un numero imprecisato morì successivamente a causa delle ferite.
Nei giorni successivi si verificarono attentati con bombe a mano e colpi di mitra alle sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Partinico, S. Giuseppe Jato con un morto e numerosi feriti.

La caccia all’imprendibile bandito Giuliano si concluse solo tre anni dopo, nel 1950, con l’assassinio da parte del suo guardaspalle Gaspare Pisciotta; un assassinio molto probabilmente commissionato perché il bandito era diventato scomodo, troppo incontrollabile e probabile fonte di pericolose rivelazioni. È altamente probabile che a Pisciotta venne affidato anche l’incarico di depistare le indagini fornendo false notizie agli inquirenti; quando venne catturato fornì dichiarazioni che parvero subito inattendibili. Malgrado questa obbedienza Pisciotta non sfuggì alla severa legge del sistema mafioso. Probabilmente si aspettava un trattamento di riguardo per aver tolto di mezzo Giuliano, invece si trovò con una condanna all’ergastolo da scontare all’Ucciardone e nella scomoda posizione di chi poteva fare rivelazioni altrettanto scomode.
È così che il 9 febbraio 1954, nella sua cella, bevve un caffè al quale era stata aggiunta una dose letale di stricnina; morì 40 minuti dopo tra atroci sofferenze addominali nell’infermeria del carcere. Le indagini rivelarono che nel carcere siciliano la stricnina era utilizzata come veleno per i topi.

Una fine simile toccò a quasi tutti i membri della banda.
Il processo di Viterbo, istruito per giudicare i colpevoli della strage, durò dal 1950 al 1953 e si concluse con la sentenza che stabiliva Salvatore Giuliano e la sua banda responsabili unici e autonomi della strage.

Pubblicato in Cultura | Contrassegnato , | Lascia un commento

VITERBO – LEZIONI DI CULTURA MILITARE GRANDE SUCCESSO AL TEATRO UNIONE PER LA PRESENTAZIONE DEI LIBRI DEL GENERALE MAURIZIO BONI E DEL GIORNALISTA GIANANDREA GAIANI

Viterbo – Siete tra coloro che considerano l’analisi strategico-militare cibo per specialisti? Siete in errore per difetto perché l’analisi strategico-militare è in realtà uno strumento essenziale per la piena comprensione delle dinamiche e delle criticità generali della nostra contemporaneità, dalla scala regionale a quella planetaria.
Una plastica espressione di questo teorema della lucidità è andata in scena il 17 gennaio 2024 scorso nel foyer del al Teatro dell’Unione di Viterbo, in una serata concept dedicata alla guerra in Ucraina.
L’occasione è scaturita dalla presentazione dei libri “L’esercito russo che non abbiamo studiato”, del generale Maurizio Boni e “L’ultima guerra contro l’Europa” del giornalista Gianandrea Gaiani, entrambi protagonisti dell’evento.
L’incontro, moderato dalla giornalista viterbese Anna Maria Stefanini, ha offerto al pubblico viterbese l’opportunità di trascendere il riepilogo cronachistico appaltato alle reti all news per scalare le quote del metodo analitico e ricostruire il reticolo delle dinamiche del teatro di guerra, dai suoi aspetti logistici – militari alle strategie di controllo e di comando, alla sostenibilità, alle contraddizioni sino alle implicazioni internazionali in cui è maturata l’invasione russa.

Il format dialogante dell’incontro includeva la possibilità per il pubblico di intervenire, porre domande e interagire con gli autori.

Due ore e mezzo di interazioni per dimostrare che quella militare è anche cultura.
All’incontro hanno presenziato il vicesindaco e assessore alla cultura Alfonzo Antoniozzi e il consigliere comunale Giancarlo Martinengo.

Il vicesindaco e assessore alla Cultura Alfonso Antoniozzi e il consigliere Giancarlo Martinengo


I libri “L’esercito russo che non abbiamo studiato”, del generale Maurizio Boni e “L’ultima guerra contro l’Europa” del giornalista Gianandrea Gaiani sono disponibili su tutte le maggiori piattaforme editoriali.
Approfondimenti sul web magazine https://www.analisidifesa.it/
L’evento in video: https://youtu.be/vszazgUS0p8

Il giornalista, direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani

La giornalista Anna Maria Stefanini e il gen. Maurizio Boni

Pubblicato in Cultura | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

“Il primo gennaio” nella poesia di Eugenio Montale

“Il primo gennaio” di Eugenio Montale

So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.

So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un
raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa

Iniziamo l’anno in poesia con Eugenio Montale e il suo testo dedicato al Capodanno. Il primo gennaio è un giorno particolare, strano, apatico, intorpidito, come se faticasse a risvegliarsi da un lungo sonno.

È il giorno dei calici vuoti, dei resti del cenone, dei nastri della festa sparsi ancora per le stanze della casa vuota. È un giorno silenzioso, dopo i botti, la gente, i brindisi.
È un giorno che ti inghiotte con buoni propositi e speranze. Il tempo non ha confini, eppure l’inizio di un nuovo anno reca timori e desideri.
È l’enigma del Tempo, che fugge, e che proviamo a imbottigliare in mesi e anni.

L’ attimo muore e un altro sorge, nel compimento di un processo astronomico.
Pensieri scavano
l’altopiano dell’alba di un giorno nuovo
e ci obbligano ad attendere altri
dodici e irreparabili rintocchi.

In questi splendidi versi, contenuti nella raccolta Satura (1971), Montale ci restituisce, in modo veritiero, l’atmosfera del primo giorno dell’anno, spogliandolo della finta (e spesso ipocrita) patina di allegria che la tradizione le ha assegnato.
Protagonista indiscussa de Il primo gennaio è Drusilla Tanzi, detta “Mosca”, la moglie del poeta la cui presenza-assenza è un filo conduttore dell’intera raccolta; suoi sono i gesti compiuti in questa giornata che appare sospesa in un confine incerto tra passato e futuro, tra mondo reale, concreto e un imprecisato aldilà.

Ciascuna delle tre strofe sviluppa con efficacia un diverso aspetto del
dramma: «vivere non esistendo», perché mai realmente veduti da alcuno, al punto che l’origine
stessa dell’essere si confonde con una “quinta”, un ingannevole “fondale”; «esistere non vivendo»,
perché ogni colpo di vento strappa radici troppo poco profonde per poter germogliare; l’incapacità
di porsi domande fondamentali, «il come – il dove – il perché», rassegnati al «non importa», come
a una sentenza che annulla ogni possibilità di ricercare se stessi e, attraverso se stessi, gli altri e il
senso della vita.
Un’esistenza priva di vita è una resa che genera frustrazione e dolore.
Troppe persone esistono, senza vivere.
Nella triste euforia di un nulla che sentono dentro.
In un contesto così ferito dal non senso e dal non futuro, la scuola e la famiglia sono chiamate a ripensare, e a ritrovare, il loro naturale ruolo-guida fra le giovani generazioni.

Lo scheletro di un albero di Natale scosso fuori dal balcone dalle mani di una donna intenta a fare pulizie non scrolla via il senso di vuoto che a volte pervade l’anima. I gesti semplici, concreti e pratici della moglie del poeta, che pulisce la casa dopo le feste, si oppongono all’apatia di Montale, volto a riflettere sul fatto che si possa “vivere” anche “non esistendo”.
Dichiarò Eugenio Montale in L’intervista immaginaria
“Un poeta non deve sciuparsi la voce solfeggiando troppo, non deve perdere quelle qualità di timbro che dopo non ritroverebbe più. Non bisogna scrivere un serie di poesie là dove una sola esaurisce una situazione psicologica determinata, un’occasione”.

Pubblicato in Cultura, Letteratura | Contrassegnato | Lascia un commento